10 dicembre 2006

Ippopotamo



– Ecco, hai visto?
– ...
– Te l'avevo detto di dargliela per buona!
– Ma...
– Ma quale ma e ma...
– ...
– Corri a richiamarlo!
– Io?
– Si, tu! E sbrigati!

Per niente convinto corsi fuori dalla porta.
Mamo era lì che avanzava a passo lento sul vialetto, ostentando il suo modo di fare sdegnato.
Ad ogni passo uno stillicidio di umidi umori ematici inzaccherava la strada.
Miliardi di eritrociti ferrigni accompagnavano il suo passo fin troppo claudicante.
Nello sguardo il vuoto dello smarrimento.
Sulle labbra una smorfia ambigua.
Un po' ghigno e un po' voragine ferina.
Sotto il braccio destro: una scatola enorme.
Dentro, tutte mischiate e scomposte, migliaia di parole.
Confuse tessere di un gioco infinito.
Ma vecchio come il mondo.

– Mamo, aspetta!
– ...
– Mamo!
– Il gioco è mio...
– Mamo, per favore, ascoltami!
– ... e si gioca come dico io!
– Mamo, te lo diamo per buono!
– Mi date per buono cosa?
– Ippopotamo!
– Come animale domestico con la i?
– Si.
– Bene, allora possiamo ricominciare a giocare...

Fu così che Mamo rientrò in casa e ricominciammo a giocare.
Non fu una buona idea.
O almeno non lo fu per me.

D'altronde avrei dovuto saperlo: quando il padrone di un gioco s'avvale del suo potere per interpretare le regole a suo comodo, continuare a divertirsi diventa un optional.
Anzi, più che un optional, il divertirsi sarebbe stato un miracolo.
Ed i miracoli, si sa, non son cosa frequente in questo mondo.

Il gioco intanto continuava stanco, mio malgrado. Tra improbabili animali, città fantasma, eliminazione di lettere sgradite e continue, reiterate, meschine intimidazioni.

– Cuccioli con la L.
– Lupino!
– Ma come lupino? Semmai lupetto...
– Lupino!
– Ma è un legume...
– Ho detto lupino! Altrimenti me vado!
– ...
– E il mio gioco lo porto con me!

No, non era possibile continuare così.
Proprio non mi divertivo più.

Anzi, lo sgomento e lo smarrimento che leggevo negli occhi degli altri giocatori mi deprimeva.
Cercai di fingere, ma non ero molto bravo.
Allora chiusi gli occhi e spensi il cervello.

Avrebbe potuto funzionare.
Se solo le ferite di cartapesta che tappezzavano il corpo di Mamo non avessero sanguinato così copiosamente da allagare la stanza, forse...
Ma il livello del sangue cresceva senza sosta.
Ne percepivo l'odore ferroso e pungente.
Lo sentivo bagnarmi, lordandomi i vestiti, la pelle, l'anima.
E, improvvisamente, seppi che non potevo continuare.
Guardai in faccia gli altri astanti.
Colsi sentimenti contrastanti: dolore, sconcerto, indifferenza, paura.
Ma il sangue sovrastava tutto e molti di loro neanche riuscii a distinguerli più.

Non potevo tacere oltre.
O forse avrei dovuto tacere per sempre.
Frastornato ma deciso, seguii l'istinto.
E urlai il mio dissenso.
Il mio dolore.
Ma le onde sonore si persero nel vuoto.
Lasciando come unica eco un immobile, ingombrante, eterno
silenzio.

Da oggi in poi
zitti tutti
con quel mondo afono
e prigioniero di se stesso
non ci gioco più.

Sentimenti contrastanti
ma, soprattutto,
silenzio!

3 Comments:

At martedì, 12 dicembre, 2006, Anonymous Anonimo said...

I miracoli non sono cosa frequente in questo mondo...ma chissà, può essere che Mamo ci ripensi, non è bella cosa giocar da soli e tener per sè i giocattoli ;) Un bacione

 
At martedì, 12 dicembre, 2006, Anonymous Anonimo said...

Ed ogni riferimento è puramente casuale...
Ci sono mille modi di giocare
A volte il gioco del silenzio
E' più importante di mille parole
Accatocciate
Sporcate
Sprecate.

Riservale per chi ha orecchie per ascoltare
E voce per rispondere

E non mi rubare le parole!!!!!!!!!!
Un bacio
Dan

 
At venerdì, 26 gennaio, 2007, Blogger lonewolf said...

grazie

per esserci

anche nel silenzio

:)

 

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