25 gennaio 2007

Un vero tesoro


Il gheppio, avvolto nel suo elegante piumaggio rossiccio, si librava immobile nel cielo plumbeo della sera, quasi fosse sostenuto in volo da un’invisibile, ma persistente e soffice, nuvola d’aria. Senza sforzo apparente preparava, con meticolosa attenzione, l’agguato mortale con cui procurarsi il pasto. La sua coda, grigia con banda nera e punte bianche, e il bellissimo piumaggio blu del capo lo identificavano senza dubbio come un maschio. Un bellissimo gheppio maschio.
Qualche metro più in basso, peschi e mandorli fioriti annodavano un tappeto di petali bianchi e rosa pastello talmente folto da celare allo sguardo i rami e la siepe d’alloro con le sue foglie ovali di colore verde scuro con incastonati, come cristalli rari e preziosi, i delicati ombrellini di piccoli fiori gialli.
Dall’alto della sua nuvola, il gheppio scrutava nel folto delle fronde dipinte di primavera alla ricerca d’un topolino, una lucertola o un uccellino che potessero saziare la sua fame e quella della sua compagna, sicuramente ben nascosta in un nido abilmente costruito nei paraggi e intenta a covare e vigilare la futura prole.
È davvero un miracolo la primavera. La vita che si rinnova, ed i colori, vivaci e poliedrici, che brillano negli occhi anche attraverso lo schermo di vetro di una finestra. Una vera gioia, sia per gli occhi che per il cuore. E se pensassimo ai profumi poi…
Beh, asserragliato nella sua stanza solitaria da tre lunghi, interminabili giorni, trascorsi con le finestre ben chiuse, Saverio i profumi li poteva solo immaginare. In realtà niente, se non il suo malumore e la sua noia, gli impediva di uscire e riempirsi i polmoni con il ponentino profumato di limone dai primi fiori di calendula. Ma Saverio aveva ben radicate in se le proprie debolezze, ed era assolutamente incapace di scuotersi dal torpore che calava a velargli i pensieri quando la sua anima andava tingendosi di grigio.
In quei giorni bigi, senza buio e senza luce, Saverio credeva di trovare un riparo dalle ombre dei suoi pensieri, dalla magnifica iridescenza dei suoi sogni, dall’orrenda oscurità dei suoi incubi. L’oblio di se stesso era più un’illusione che una soluzione ma Saverio, spesso, fingeva di crederci e provava un indefinibile senso di sollievo nello sprecare tanto di quel tempo, della cui mancanza cronica si sarebbe ben presto lamentato, in quel limbo immaginario dove sembrava possibile, o tollerabile, lo strano equilibrio tra il cielo vuoto e il cielo pieno. L’equilibrio: l’eterno, assillante, irrisolto, enigma della vita. O almeno per Saverio era così.

«Ciao, amore mio. Posso chiamarti amore mio, vero?»
«Certo, è previsto… anzi, direi gradito.»
«Come va da quelle parti?»
«Normale, pure troppo normale… e lì?»
«Stanca, incasinata… ma non farmi dire nient’altro…»
«Tanto io mica sono curioso, forse…»
«Non dico niente per scaramanzia. Sto lavorando per noi.»
«Incrocio?»
«Incrocia, incrocia…»

Una volta tanto si parla di vita, quella semplice, quella da vivere. Due giorni tutti per noi. Un appuntamento aspettato, rimandato, desiderato. Meritato. Molto.
Sembra passato un secolo da quella sera in riva al mare. Quante cose fatte da allora.
Anche insieme. Soprattutto insieme. Nonostante la distanza. Eppure sembra ieri.
Si lo so, mi contraddico. Ma che vuoi? È ancora così vivo il ricordo del desiderio folle. Della paura di perderti…
Ricordi quel treno? Che incubo ho avuto quella notte. Pensavo di morire. E sarebbe stato davvero un destino balordo. Morire. Proprio quando mi sembrava di poter trovare una ragione per vivere. Si, vivere. E non sopravvivere. Che non è la stessa cosa. Proprio no.
Eppure se ci ripenso mi sembra di vederlo ancora. Il bianco. Quel bianco abbagliante, che appiattiva tutto. Anche i pensieri, i desideri. Anche i sogni. Soprattutto i sogni. Annullati dal bianco. Quel bianco che ti saltava addosso. E dipingeva asciugamani, poltrone, cuscini. Tutto bianco. Anche la trapunta, quella del letto. I vestiti. Bianchi. Come i binari. Quelli, a volte opprimenti, della vita. Tutta bianca. Come l’anima.
Bianche. Come le pareti della tua casa. La tua ex casa. Quelle pareti bianche. Ma piene d’impronte. Di fuliggine. Sporche. Grigie. Vere. Pareti bianche. Macchiate di vita. Bagnate da lacrime. Quelle lacrime che, adesso, nessuno piange più. Adesso, che il grigio dissolve in nero. Proprio nero. Come un cielo di notte. Pieno di stelle. Pieno di luna. Iridescente. Bellissima. Di mille colori. Che macchiano la vita. Colorandola. D’arcobaleno.

Il gheppio intanto, ignaro degli arcobaleni fantastici che Saverio stava costruendo con tutti i mattoni della sua fantasia, continuava a ricamare nel cielo la sua gioiosa danza rituale.
Saverio lo guardava distrattamente arrampicarsi svelto fin sulle nuvole e poi piombare giù a velocità folle, fin quasi a schiantarsi. Poi, all’improvviso, una planata, un volteggio, un arazzo disegnato in punta d’ali e di penne; e poi via, di nuovo in verticale verso l’infinito dipinto di blu.
Come incantato Saverio lo seguiva in quelle incredibile evoluzioni con gli occhi velati di sogni variopinti e vibranti. Lo seguiva e vedeva…



Ali
dipingono il cielo
con policrome macchie
d’arcobaleni infiniti

Ali
su spalle forti
incautamente avvezze
a voli fantastici

Ali
d’instancabile farfalla
leggiadra prigioniera
d’uno stomaco tormentato

Ali
d’arcobaleno
Ali
di nascosti tesori

Ali
vestite di sogno
a sfuggire leste
la penosa solitudine

Ali
d’arcobaleno
Ali
di nascosti tesori
Ali
lungamente negate
Ali
innegabili
Ali
per volare insieme
Ali
e noi



Saverio sorrise pensando alle pentole di monete che avrebbero dovuto trovarsi alla fine di quegli arcobaleni. A seguirli tutti ci sarebbe stato di che arricchirsi.
Un vero tesoro.
Migliaia di pentole, migliaia di arcobaleni che partivano dal suo cuore per giungere in ogni dove.
Un vero tesoro.
O forse le leggende erano sbagliate.
Forse i tesori non erano celati alla fine degli arcobaleni.
Forse il tesoro vero era all’inizio degli arcobaleni.
Un tesoro che Saverio sentiva crescere nel suo cuore.
Un vero tesoro…

4 Comments:

At giovedì, 25 gennaio, 2007, Anonymous Anonimo said...

Che importanza ha se il Tesoro si trova a capo o ai piedi dell'arcobaleno, quel che conta è averlo trovato :)... e Saverio custodirà quel Tesoro nel suo Cuore e dal suo Cuore nasceranno infiniti arcobaleni.
T'abbraccio carissimo lupetto :)

 
At venerdì, 26 gennaio, 2007, Blogger lonewolf said...

hai ragione Enzina.

poco conta dove

o come

quel che conta davvero

è che ci sia...

Un abbraccio grande :)

 
At venerdì, 26 gennaio, 2007, Blogger remo bassini said...

buone cose lupo.
sono stato a roma, ultimamente. se ripasso, dovrei, ti faccio un fischio. per un caffè o una birra, dipende dall'ora.
remo

 
At venerdì, 26 gennaio, 2007, Blogger lonewolf said...

Sarà un piacere oltre che un onore Remo :)

fischia quando vuoi :D

 

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