25 novembre 2006

Vorrei


vorrei

negli occhi

il riflesso di mille colori


vorrei

nelle mani

la forza di piegare la vita


vorrei

nelle braccia

la facoltà di abbracciarvi tutti


vorrei

nelle parole

il dono di plasmare il tempo


vorrei

nel cuore

saper conservare incendio e brace


vorrei

nel pensiero

la serenità dei miei limiti umani


vorrei

ma non posso

non esser sempre solo me…

15 novembre 2006

Lupi senza frontiere


come mio solito
approfitterò della vostra
infinita, generosa ed immeritata
graditissima attenzione
per segnalarvi la nascita della mia nuova creatura:

Il lupo cattivo a colori

sarà un immenso piacere
se vorrete venirmi a trovare
ospitarvi tra foto e disegni
che raccontano il mondo
visto con i mie occhi
a colori...

e visto che sono in vena di segnalazioni
ci tengo particolarmente
a porre l'attenzione su due post
che mi parlano al cuore
raccontandomi di quel mondo che
ahime
sembra essere sospese nel limbo
di una travagliata trasformazione...

questi sono solo esempi
ma molto importanti
del mondo che mi manca:

>(Web)umanità senza rivoluzioni

>“Casa rossa, casa cantoniera” (oltre il ponte ove vivono amori persi, un bacio a princess Shelly)

(foto national geografic)

07 novembre 2006

Occhi nella notte (Com'eravamo - Dicembre 2004 :-))



Il cielo scuro della notte avvolge il mio sguardo con un manto d’ombra talmente impenetrabile da rendere invisibile la fioca luce delle stelle; eppure lassù ce ne dovrebbero essere milioni di sfavillanti astri. Pigramente dispersi nell’immenso e oscuro cosmo li sento guardarmi celati dal buio, come testimoni, presenti e silenziosi, dei pensieri notturni che affollano la mia involontaria veglia. Ormai è notte fonda e la città sembra essersi tramutata sotto i miei occhi in una grigia ed immobile distesa di pietre. Solo un alito di vento carezza gli sparuti alberi ai bordi della strada, disegnando ombre multiformi ed inquietanti, il cui perpetuo mutare mi ricorda che il panorama dinanzi ai miei occhi non è un quadro bensì realtà.

Una pallida luna fa capolino nel cielo guardandomi curiosa e, mentre mi accarezza con la sua tenue luce bianca, sembra voglia rendersi partecipe dei miei pensieri, dei miei sogni. Mi sento sciocco solo a pensarlo, eppure la sua presenza è piacevole; in fondo un po’ di compagnia non può che donarmi serenità. In una fredda, solitaria ed insonne notte invernale, anche una luce nel cielo può essere scambiata per un offerta di aiuto, per una mano tesa, per un gesto d’amicizia o d’affetto. Mi sento così solo ed impaurito che non voglio indugiare oltre. Siedo sul bordo del letto, in modo che lei possa continuare a guardarmi mentre mi abbandono teneramente al suo luminoso abbraccio e la mia anima inizia faticosamente a volare tra sogni e ricordi.

«Allora domani è il grande giorno? Come stai?»
«Sono emozionata. Non mi sembra vero.»
«Io non riuscirò a dormire stanotte…»
«Io spero di si. Certo che le farfalle nello stomaco non aiutano.»
«A che ora arrivi?»
«Se va tutto bene alle 9,30 sono lì.»
«Ti vengo a prendere, ma tanto ci sentiamo per telefono.»
«Certo che si. Se non vieni in orario ti picchio. Guarda che lo faccio!»
«Giuro che arrivo in tempo.»
«Adesso però ti devo salutare, sono arrivata a casa.»
«D’accordo a domani, ti amo…»
«Anche io, ciao.»

La nostra ultima telefonata, ultima nel senso di più recente, oggi sarà stata la quindicesima, o forse di più. Eppure, non basta mai. Il suono della sua voce è musica per me, balsamo per le mie ferite, calore per la mia gelida anima. La mia vita è piena di lei, la ritrovo in ogni cosa che faccio, in tutto quello che dico o che penso.È tutta la vita che la aspetto e domani, finalmente, Anna sarà qui. La nostra storia è un piccolo miracolo di tenacia ed istinto. A volte fatico a convincermi che sia tutto vero. Se fosse un sogno, prego per non svegliarmi. Mai.

Ci siamo conosciuti la scorsa estate, sull’imbrunire di una caldissima giornata, dopo esser stati quasi tutto il pomeriggio sulla stessa spiaggia. Si era fatta l’ora di risalire e stavo cercando di recuperare tutta la mercanzia che sono solito portarmi quando vado al mare. D’altronde come si può sopportare un intero pomeriggio di sole senza almeno una sdraio, un ombrellone e un buon libro? Come se questo bastasse, infatti non avevo certo rinunciato alle bocce, né ai racchettoni e non sia mai che io faccia il bagno senza pinne e maschera da sub. Insomma, al momento di radunare tutte le mie cose, vicino alla siepe che delimitava l’ingresso alla spiaggia, avevo organizzato un piccolo bazar che, di fatto, impediva il passaggio verso la strada.

«Non vorrà mica che salti la siepe per andare a casa?»
Mi voltai lentamente verso l’origine della voce il cui tono, oscillante tra il divertito e lo scocciato mi era sembrato particolarmente intrigante, con l’intenzione di fare un po’ di bonaria polemica. Fu così che la vidi per la prima volta e le parole mi morirono sulle labbra. Vidi il suo corpo tonico ed affusolato, fasciato da un pareo che tanto regalava all’immaginazione ed alla fantasia. Gambe lunghe e tornite le donavano una figura snella ed un incedere elegante. Le labbra erano distese in un sorriso malizioso che illuminava sia il suo bel volto che gli occhi chiari, di un grigio indefinibile. I capelli, raccolti da un mollettone d’osso, erano come una morbida cascata d’ambra. Rimasi imbambolato per qualche istante ed infine riuscii a rispondere.
«Mi sembra abbastanza atletica per riuscirci» poi, senza darle tempo di ribattere, aggiunsi: «però se mi concede un istante le faccio spazio.»
Feci per chinarmi a raccogliere le mie cose mentre sentivo il suo sguardo bruciarmi la pelle. Avrei voluto guardarla ancora e dirle qualcosa di simpatico o di romantico. Invece rimasi muto per non sembrare più sciocco di quanto già non mi sentissi in quel momento.
«Ma ce la fa con due mani a portare tutte quelle cose?» mi chiese, divertita dalla mia goffaggine.
«Non riesco a fare a meno delle cose che mi piacciono» risposi senza neanche pensare. «Qualche volta esagero un po’…».
Proprio in quel momento si fermò al mio fianco e si chinò verso di me.
«Forse se la aiuto facciamo prima», disse raccogliendo da terra, tra le mie mille cianfrusaglie sparpagliate, proprio il libro che stavo leggendo in spiaggia.
«È un horror vero?» mi chiese guardando la copertina con su scritto in caratteri cubitali “IT”.
«È una storia di bambini e di adulti che tornano bambini», dissi tutto d’un fiato.
«E perché lo fanno?» domandò guardandomi negli occhi col suo sguardo tenero e tagliente.
«Per combattere le loro paure ed i loro fantasmi, ma soprattutto per mantenere una promessa.»

Fu così che iniziammo a parlare senza più fermarci, ci scambiammo mille nozioni ed emozioni scoprendo sinergie ed affinità così profonde da riuscire a guardarci fin dentro l’anima con gioiosa empatia. Il nostro desiderio di conoscerci e di confrontarci cresceva impetuoso come un fiume in piena, travolgendo con semplicità irrisoria qualunque ostacolo e resistenza.
Il tempo scivolò via così velocemente che il buio ci sorprese ancora lì, ultimi coraggiosi reduci in una spiaggia ora deserta. Il ritmico e melodioso suono della risacca sembrava cullare le nostre emozioni sincronizzando parole e respiri; fondendoli in una musica vibrante che divenne l’ideale colonna sonora del nostro incontro. Un’armonia che riempiva ogni cellula del mio essere di desiderio e timore.
Vorrei che questo momento non finisse mai.
Fu proprio questo pensiero improvviso a farmi rendere conto che il momento dei saluti si stava avvicinando inesorabilmente. Sentii nascere in me la paura di veder inaridire il timido bocciolo del mio nascente sentimento, prima ancora che potesse fiorire.
Desiderai che la luna sorgesse ad illuminarmi l’anima, con la sua tenue ed avvolgente luminescenza. Quanti amori aveva visto nascere la luna? Quante promesse aveva ascoltato? Quanti sogni? Infranti o realizzati eppure sinceramente espressi e segretamente desiderati. Forse la sua iridescente presenza mi avrebbe donato le parole giuste per concimare il tremolante germoglio d’amore, che sembrava essersi radicato così repentinamente nel mio cuore.

«Si è fatto un po’ tardi.»
Fu un sussurro appena percettibile eppure riecheggiò come un tuono violento nella mia testa, lasciandomi per un attimo senza fiato. Cercai di riprendermi dal turbamento, ma non riuscivo a trovare le parole, ero sicuro di avere tante cose da dire, ma anche solo l’idea di parlare mi sembrava inutile e gravosa.
«Non so neanche come ti chiami», fu l’unica frase logica che riuscii ad articolare, stupendomi del fatto che fosse anche vera.
«Anna.»
«È un palindromo!» dissi, chiedendomi poi dove mai avessi trovato una frase così cretina invece di farle magari un complimento. «Sai, quelle parole che si leggono in entrambi i sensi» aggiunsi quasi balbettando. «Bello, ti si addice.»
«Mi si addice? In che senso?» chiese Anna, mentre mi sentivo sprofondare per il disagio che provavo nel vano tentativo di ricostruire una conversazione coerente.
Nei pochi attimi di silenzio che seguirono, annaspai immaginando il mio volto arrossire per l’imbarazzo.
«Nel senso che sei una persona così limpida, da essere te stessa in qualunque modo ti si guardi» esclamai infine, stupendomi io stesso delle mie parole.
«È un bel complimento», rispose «ma non sono così bella come credi.»
«Per me lo sei», dissi arrischiandomi a prenderle la mano nella mia. «Possiamo rivederci?»
«Io domani mattina parto…» disse mentre il suo volto impallidiva.
Un profondo gelo si diffuse in me, sapevo che le parole hanno il potere di ferire ma non per questo ero capace di ignorare il dolore sordo e opprimente che queste mi provocavano. Rimasi così, sospeso nel vuoto per qualche interminabile secondo. In fondo la colpa era tutta mia. A forza di gridare ai quattro venti che le cose facili da ottenere non mi piacevano, il destino mi aveva preso in parola.
«Possiamo sentirci?» dissi infrangendo la cappa di innaturale silenzio che ci aveva avvolto e stringendo forte le sue mani tra le mie.
«Sarei molto contenta di sentirti», rispose Anna guardandomi con occhi colmi di speranza e sollevando, almeno un po’, il pesante macigno che sembrava gravarmi sullo stomaco.
«Allora lo saremo in due», esclamai guardandola dritta negli occhi per carpire ogni minima emozione dal suo volto.
I nostri sguardi si intrecciarono come le nostre mani nervose, ero così vicino che potevo sentire il suo respiro mischiarsi col mio. Il profumo della sua pelle era dolce ed inebriante. I suoi occhi sembravano risplendere di luce propria. Quasi inavvertitamente le nostre labbra si sfiorarono per un istante. Un timido bacio che pervase la mia mente del suo sapore dolce e fruttato, ed il mio corpo del suo calore penetrante.
«Adesso però devo proprio andare. Chiamami quando ne hai voglia», sussurrò indietreggiando lentamente.
«Lo farò», sospirai quasi a fatica.
«Ciao…»
No, no te ne andare. Io, io vorrei…
Un urlo nella mia mente, senza che dalle mie labbra emanasse alcun suono.
Vorrei…
Non sapevo nemmeno io cosa avrei voluto in quel momento, forse che lei non andasse via o forse l’incosciente coraggio di correrle dietro. Mi sentivo come folgorato dalla sua presenza che, mentre si allontanava da me, sembrava radicarsi profondamente nel mio petto.
«Ciao», fu l’unica cosa che riuscii a dire, mentre la sua figura flessuosa ed attraente sembrava fluttuare via. Il mio sguardo carezzevole seguiva ogni sua forma e cercava di imprimere nella mia memoria le sue movenze feline.
Dopo qualche passo si voltò e mi sorrise, ma il suo sguardo tradiva sofferenza.
Sorrisi anche io, preoccupandomi di cosa avrebbe letto nei miei occhi, ma senza per questo riuscire a nascondermi o a proteggermi dal suo sguardo. La vidi scomparire lentamente dalla mia vista e capii che un pezzo della mia anima sarebbe partito insieme a lei.

Mi ritrovai seduto sulla riva del mare, con i piedi bagnati dalle onde ed in mano il bigliettino su cui avevo scritto il suo numero di telefono. La luna, sorta troppo tardivamente per essere testimone dell’accaduto, sembrava guardarmi sorniona ed indiscreta mentre rigiravo tra le mani quell’unica traccia tangibile che mi era rimasta di lei. La luce delle stelle si specchiava sulla superficie del mare, nascondendosi tra le onde e ricordandomi dolorosamente la brillantezza dei suoi occhi.
Non avevo mai creduto molto ai colpi di fulmine, eppure non avrei saputo spiegare in nessun altro modo l’esperienza che avevo appena vissuto.
Non è possibile innamorarsi così, come d’incanto. Di una sconosciuta poi…

Volevo convincermi che i nodi che sentivo nel mio stomaco si sarebbero sciolti con l’avvento del nuovo giorno. Ma sentivo che non sarebbe stato così.
Non sarai mica impazzito!
Mi sdraiai sulla rena per poter guardare il cielo scuro e stellato. Il vellutato manto notturno, preziosamente incastonato di rilucenti perle, assorbiva il mio sguardo nelle sue immense profondità, infondendo nei miei caotici pensieri un rassicurante senso di nascente e serena consapevolezza. In fondo era inutile porsi troppe domande sull’irrefrenabile corso della vita che, nonostante tutti gli sterili tentativi di indirizzarne il percorso, continuava imperterrita a tracimare dalle mie inadeguate dighe per esplorare impavidamente strade impervie ed inesplorate.

Lo scopo principale delle mie vacanze solitarie era dimenticare un amore che, da tempo giunto al capolinea, avevo trascinato dolorosamente, come se fosse un ingombrante fardello. Mi vergognavo non poco nel considerare Marina come un peso, ma non trovavo un'altra definizione più adatta o meno denigrante. Mi sentivo sconfitto ed umiliato per non esser stato capace di conservare il mio amore per lei, che aveva rappresentato per me, tra alterne vicende, il centro dell’universo per quasi vent’anni. Una vita. Fino ad allora la mia vita.
Ricordavo con incredibile chiarezza il nostro primo bacio, rubato in una notte d’estate troppo simile a quella che stavo vivendo.
Avevamo quindici anni. Marina era piccola piccola con tanti capelli ricci e neri, mentre io sembravo già quello che non ero: un uomo. I suoi occhi di cerbiatta intimorita e il suo profumo di vaniglia si fusero in me, insieme all’emozione timida e rarefatta del mio primo bacio.
Alla fine dell’estate, rientrati in città, ci perdemmo.
Eravamo troppo giovani ed immaturi per affrontare la distanza e il mio violento desiderio di scoprire la vita.
Vita che bevevo avidamente, cogliendo ogni esperienza che si parasse davanti. Come una falena attratta dalla fiamma osavo, pur rischiando di bruciarmi le ali che la gioventù mi aveva donato.
Ci ritrovammo due anni dopo e continuammo a rincorrerci nel labirinto della vita. Per poi perderci e trovarci, cercando sempre di non procurarci ferite mortali. Lasciando sempre una porta aperta.
Siamo stati amici, fidanzati, amanti e compagni. Complici di sogni e di incubi, siamo sopravvissuti ad altri amori.
Niente era riuscito a dividerci davvero.
Fino al nostro appassionato, patetico, fallimentare tentativo di vivere insieme. Cercando di riesumare un amore ormai consunto e senza sogni.
Per me era impossibile sopportare oltre. Mi armai di coraggio e liberai la nostra vita, regalandole nuovi orizzonti.

Per alleviare il peso delle scelte, che sentivo gravarmi sulla coscienza, decisi di partire alla ricerca di un consolatorio oblio. Erano trascorse solo due settimane dalla mia fuga e mi ritrovavo incredulo e pieno di vergogna, ma anche, soprattutto, di vita. Sdraiato sulla riva del mare, con gli occhi persi nelle profondità del cielo, sentivo nascere in me la speranza di un nuovo volo d’amore: Anna.
Il riflesso della luna biancheggiava tra la soffice schiuma delle onde, riportandomi alla mente l’incredibile scintillio del suo sguardo sorridente. La brezza mi carezzava lievemente e l’infinito alternarsi di bianco e di blu del cosmo scandiva ogni secondo che mi separava dal poter sentire di nuovo la sua voce. Una notte trascorsa in un attimo eppure eterna, indimenticabile, unica. La mia prima notte con lei, ma senza di lei. Una notte bianca, insonne fusione di sogni e speranze che parlano di noi.

Il sole nasceva pigramente all’orizzonte, fugando le ombre e pennellando il cielo d’azzurro, di giallo e di rosso. Mi alzai dalla sabbia su cui avevo vegliato e volsi il mio sguardo verso il grandioso spettacolo offerto dall’alba infuocata. Il riverbero della luce mi ferì gli occhi, ma fece gioire il mio cuore. Ancora poche ore e la sua voce sarebbe stata parte di me.

Il desiderio e l’ansia di sentire la sua calda voce, si fece presto pressante. Provavo un pizzico di timore e mi vergognai non poco, per aver temuto che il numero di telefono potesse essere sbagliato, oppure falso. Il telefono mi saltò in mano, come spinto da una forza misteriosa ed inarrestabile, a cui cercai di resistere più di una volta. Invano, era una lotta impari. Ben presto mi arresi e chiamai, però la mia crescente paura mi spinse a comporre il numero in modo che la telefonata risultasse anonima.
Uno squillo, un secondo squillo… un altro ancora.
«Pronto?» disse finalmente Anna e la sua voce attraversò la mia anima come una lama incandescente, paralizzandomi.
Rispondile, cosa aspetti?Hai passato tutta la notte aspettando questo momento.
«Pronto, chi parla?» incalzò lei, evidentemente disturbata dal silenzioso interlocutore.
Non essere stupido, parla. Dille qualcosa, coraggio.
«Insomma, chi parla?»
Veramente non parla nessuno. Se solo ci riuscissi, forse io potrei…ad avercelo il coraggio. No, non posso.
Non riuscivo ad emettere alcun suono mentre le mie dita si mossero inesorabili sulla tastiera del telefono e la linea si interruppe.
Non posso essere così imbecille. Vorrei sprofondare. Ho l’anima di un pagliaccio, sempre pronta a giocarmi qualche scherzo imprevisto, soprattutto nei momenti importanti. Quanto la odio quest’ansia che mi soffoca. Adesso mi calmo, faccio un bel respiro profondo e riprendo in mano la situazione.

Lasciai passare qualche interminabile momento poi finalmente mi decisi a ricomporre il numero. Stavolta non potevo sbagliare o almeno lo speravo.
«Pronto!»
«Buongiorno, cercavo Anna», dissi timidamente non rendendomi conto che l’avevo chiamata sul portatile.
«Chi è che la vuole?» chiese Anna, apparentemente divertita dal mio imbarazzo.
Se adesso rispondi "un amico" ti rendi ridicolo.
«Sono Saverio» dissi mordendomi la lingua.
«Saverio, finalmente!» esclamò lei «è proprio un piacere sentirti». Poi mi domandò «eri tu anche prima?»
«Si ero io», affermai. «Scusami, ma non mi venivano le parole...»
«Scusarti? E di cosa?» esclamò Anna incuriosita. «Sono proprio contenta.»

Se penso all’irrisoria semplicità con cui, una volta rotto il ghiaccio, il nostro rapporto è decollato, non posso fare a meno di sorridere del mio impaccio iniziale.
Sin dal primo istante le nostre anime, sospinte da un amore istintivo e travolgente, si sono unite saldamente tra loro creando un’entità dotata di volontà propria, talmente solida e forte da poter resistere indenne al tempo e alla distanza che ci hanno separato fino ad oggi.

Dalla finestra vedo le ombre rincorrersi pigramente, mentre scruto il cielo alla spasmodica ricerca di qualche traccia del nascente giorno. Sembra incredibile, ma sono passati quasi cinque mesi da quel fugace istante in cui i nostri corpi si sono timidamente sfiorati per la prima ed unica volta. Mesi in cui solo il sottile filo delle parole con cui ci raccontiamo sogni e paure ha legato la parte razionale del nostro essere, quella parte di noi, di me, che ancora non riesce a credere che un sentimento così importante possa nutrirsi solo di emozioni.
Tra poco sarai qui.

Ancora fatico a crederci, l’amore che sconfigge la distanza, la mancanza che alimenta il desiderio, la speranza che lenisce il dolore. Amore insolito, ma vero. Arde come brace nel mio petto senza spegnersi mai, un sentimento raro, profondo, sincero.
Sento lottare in me l’irrefrenabile voglia di vederti e la recondita, immensa paura che la realtà col suo alone grigio immiserisca i nostri sogni rendendoli banali.
Ho bisogno e paura della verità.
Rischiare di veder evaporare in un istante tutto quello che abbiamo costruito, con passione e tenacia, sarebbe una follia, se non fosse che non ci basta più niente di ciò che viviamo. Che non ci può, non mi può bastare. Non posso più vivere con l’ingombrante assenza di te.
Ho paura.
Corro il rischio di perderti, prima ancora di averti avuta ed il terrore che mi attanaglia dilata la mia percezione del tempo. La luce del mattino, bramata e temuta, sembra non arrivare mai. Non sopporto le attese , sono snervanti. Mi allontano dalla finestra per sedermi sul bordo del letto. Da lì il cielo mi sembra più blu.

All’improvviso è già mattino.
Dense nubi soffocano una luce tagliente e gelida.
Voglio correre da te, più veloce della paura.
Nastri d’asfalto si srotolano docili,
mentre il battito del mio cuore frenetico ed incostante
colma i miei pensieri, oscurando il rombo del motore.
“la lontananza sai, è come il vento
spegne i fuochi piccoli, ma
accende quelli grandi . . . quelli grandi."
La musica mi percuote l’anima,
parole che penetrano nei miei sogni.

La stazione è un groviglio di vite diverse
che si sfiorano un attimo, per poi perdersi
nel fugace battito d’ali di uno storno,
che impavido passeggia tra mille corpi deambulanti
per poi volare via, verso la moltitudine piumata
che affolla ogni ramo, curiosa e gracchiante.
Il violento fischio di un treno partente
vibra nell’aria densa di fumo e polvere,
scatenando una coreografica danza nel cielo.
Miriadi di anime alate dipingono deliziosi arabeschi,
che incantano lo sguardo e rapiscono il cuore.

Locomotori carichi di umanità variopinte
s’incrociano inarrestabili ed ignari di dolorose partenze
e frettolosi arrivi, disordine e rumore regnano sovrani.
Solo pochi minuti di rotaie e di ansiosa attesa
ti separano da me, sentimenti violenti e contrastanti
pervadono il mio essere colmandomi di dolore ed amore.
Finalmente il luminoso oracolo mi spinge verso il binario tre,
il sangue pulsa violento nella testa, e sento tremare ogni mia fibra.
Persone senza volto mi sfiorano veloci ed ignare,
mentre cerco equilibrio nelle mie sensazioni sfocate
e la pesante motrice corre inesorabile verso di me.

Schegge di granito sulla mia pelle,
legno e acciaio mi circondano come una morsa
e stritolano la mia residua forza, rendendomi inerte.
Urla disperate lacerano l’aria stagnante e cupa,
una folla senza nome si sbraccia nel vedermi
confuso e dolorante sdraiato sulle fredde, nude rotaie.
Vedo il treno che incombe, ruggendo e fischiando.
Scintille di fuoco esplodono nell’attrito dell’inutile frenata
il terrore s’impadronisce del mio essere, paralizzando ogni mio gesto.
Inarrestabili tonnellate d’acciaio precipitano verso di me,
mentre il lamento della sirena e le grida sublimano in silenzio.

Lamiere ed ossa combattono una guerra disperata,
in balìa dal vento come un aquilone disperso nel cosmo
volo libero dalla paura e non provo più alcun dolore.
Ora vedo il suo sguardo carezzarmi dolcemente,
mentre tutto intorno a me sbiadisce verso il bianco.
Neanche adesso posso smettere di pensare che ti amo,
i miei occhi non vedono altro che luce.
La sirena continua ad urlarmi nelle orecchie
la sua rabbia, come un lamentoso pianto mi accompagna
verso la mia imprevista ed eterna dimora.
Non credevo che la morte fosse così piena di vita…


Balzo dal letto con il petto che esplode sotto i colpi di maglio inferti dal mio cuore, madido di sudore e rintronato dalla sveglia che lacera i miei poveri timpani.

Un sogno…
è stato solo

un incubo!


Sento la mia mente snebbiarsi lentamente, mentre l’angoscia dell’orrendo sogno si dissolve come un fiocco di neve gettato in una fornace e la gioia di essere vivo permea ogni cellula del mio corpo.
Il sole illumina il mondo scacciando finalmente lontano ombre e fantasmi. Fortunatamente la sveglia, di solito odiata profondamente, si era resa piacevolmente utile strappandomi dai miei incubi. Altrimenti avrei anche fatto tardi all’appuntamento con Anna che sicuramente si sarebbe offesa di non trovarmi alla stazione.
Una doccia veloce e poi corro da lei.
Non posso fare a meno di pensare che tra poco saremo insieme e le nostre vite diverranno inchiostro con cui scrivere il bianco libro del nostro destino.
Lo specchio riflette il sorriso dei miei occhi mentre penso…

Ti amo.

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