28 gennaio 2007

In memoriam


Ieri, 27 gennaio,

il giorno della memoria.

la data designata dallo stato italiano per non dimenticare gli orrori della shoah, i campi di sterminio, le atrocità, le torture, la guerra…

come noi, tanti altri paesi del mondo hanno scelto un giorno per non dimenticare.

Oggi, 28 gennaio,

un giorno qualunque

A Bagdad è una domenica di sangue: oltre 60 morti. Un colpo di mortaio sparato contro una scuola femminile in un quartiere prevalentemente sunnita ha ucciso cinque ragazzine che si trovavano in quel momento nel cortile dell'edificio.

Almeno 250 ribelli sciiti e sunniti sono stati uccisi in un attacco condotto da militari iracheni e americani presso Najaf, in Iraq.

Il presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, è tornato ad affermare che Israele scomparirà presto,. Ahmadinejad, ha aggiunto che presto vi sarà anche «il crollo degli Usa».
«Grazie ai nostri cuori puri e alla resistenza con la benedizione di Dio vedremo presto la fine del regime sionista e il crollo degli Stati Uniti», queste le parole del presidente.

Sono ripresi a Gaza gli scontri tra militanti di Hamas e sostenitori di Fatah, il partito del presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen.

Basta!

Butto il link del corriere nel cestino.

Pare proprio che gli uomini, pur ricordando, non imparino mai…

(foto: "Un lago di sangue davanti alla scuola del massacro" (Namir Noor-Eldeen/Reuters) www.corriere.it)



27 gennaio 2007

Così sia


Un secolo scarso
di rancore e cupidigia
finisce oggi
nel respiro mancato
tra pensieri avidi
e fredda solitudine

Anche sul male
scenda la notte pietosa
e rechi con se
parole d’oblio
che ci donino
la sperata serenità

così sia

26 gennaio 2007

Bronto vive!


Il lamento di un canto lontano riempiva il buio della notte.
Ritmo di tamburi tribali e strane campanelline cinesi.
In qualche terra lontana si perpetrava un qualche arcano rito, la cui eco saturava l’aria umida del bosco di penetranti vibrazioni.
Il vento, sottile ma incessante, portava con se piccoli grappoli di note acute.
La terra, bagnata e pesante, tremava fin nel profondo delle sue pozze di fango segnando inesorabile il tempo delle percussioni.
Bronto, pallido ed emaciato, nel profondo della sua grotta non riusciva a dormire bene.

Tempo prima aveva pensato di morire. Schiacciato dal dolore e dallo sconforto che un improvviso, imprevisto ed imprevedibile cataclisma gli aveva provocato.
La foresta lussureggiante e accogliente, che era stata per anni il suo mondo, era andata distrutta in un lampo: scomparsa, sparita, vaporizzata.
Bronto non s’era accorto di niente durante il disastro. Forse dormiva. O forse se n’era convinto.
Sapeva solo che al suo risveglio, quella mattina, la foresta vera non c’era più. Al suo posto, apparentemente identica, ne era stata generata una di plastica. Fredda e asettica.
Bronto indagò, ma si ritrovò in un labirinto di specchi.
Con mille immagini che si riflettevano senza senso.
Bronto parlò, ma le sue parole evaporarono in nubi minacciose.
Da cui iniziò a scendere inesorabile una grigia pioggerella.
Bronto urlò, ma l’eco della sua voce rimbalzò tra le piante di gomma..
E si trasformò in un sibilo assordante.
Bronto, disperato, pianse. Ma le sue lacrime scivolarono sulla terra plastificata.
E divennero un fiume impetuoso che lo trascinò via.
Lontano.
Nel silenzio.

Fu proprio allora che Bronto, pensò di morire.
Si sdraiò nella sua vecchia grotta solitaria.
Chiuse gli occhi.
E attese la fine.

Ma la fine non venne.
Un nuovo giorno seguì la notte.
Tanti amici lo andarono a trovare fin nella sua grotta.
Chi portando dolci parole.
Chi caldi abbracci.
Bronto tornò a vivere.
E a respirare libertà.

Proprio quella libertà
di pensiero e d’espressione
che non s’era accorto
d’aver sacrificato
per una comoda gabbia.

Nel buio Bronto sorrise respirando a pieni polmoni la sua rinnovata libertà.
Le campanelle e i tamburi sembravano sempre più lontani.
E pensare che c’era chi, in quella gabbia, stava lottando, divincolandosi nel fango, per prendere il suo posto.
Chissà poi perché…
Ogni occhio vede la sua verità.
Pare si chiami opportunismo.
Nessuno sembrava esserne esente.
Nemmeno Bronto lo era stato.
Anche se non se ne ricordava il perché…

Poi, nel silenzio, si addormentò.

25 gennaio 2007

Un vero tesoro


Il gheppio, avvolto nel suo elegante piumaggio rossiccio, si librava immobile nel cielo plumbeo della sera, quasi fosse sostenuto in volo da un’invisibile, ma persistente e soffice, nuvola d’aria. Senza sforzo apparente preparava, con meticolosa attenzione, l’agguato mortale con cui procurarsi il pasto. La sua coda, grigia con banda nera e punte bianche, e il bellissimo piumaggio blu del capo lo identificavano senza dubbio come un maschio. Un bellissimo gheppio maschio.
Qualche metro più in basso, peschi e mandorli fioriti annodavano un tappeto di petali bianchi e rosa pastello talmente folto da celare allo sguardo i rami e la siepe d’alloro con le sue foglie ovali di colore verde scuro con incastonati, come cristalli rari e preziosi, i delicati ombrellini di piccoli fiori gialli.
Dall’alto della sua nuvola, il gheppio scrutava nel folto delle fronde dipinte di primavera alla ricerca d’un topolino, una lucertola o un uccellino che potessero saziare la sua fame e quella della sua compagna, sicuramente ben nascosta in un nido abilmente costruito nei paraggi e intenta a covare e vigilare la futura prole.
È davvero un miracolo la primavera. La vita che si rinnova, ed i colori, vivaci e poliedrici, che brillano negli occhi anche attraverso lo schermo di vetro di una finestra. Una vera gioia, sia per gli occhi che per il cuore. E se pensassimo ai profumi poi…
Beh, asserragliato nella sua stanza solitaria da tre lunghi, interminabili giorni, trascorsi con le finestre ben chiuse, Saverio i profumi li poteva solo immaginare. In realtà niente, se non il suo malumore e la sua noia, gli impediva di uscire e riempirsi i polmoni con il ponentino profumato di limone dai primi fiori di calendula. Ma Saverio aveva ben radicate in se le proprie debolezze, ed era assolutamente incapace di scuotersi dal torpore che calava a velargli i pensieri quando la sua anima andava tingendosi di grigio.
In quei giorni bigi, senza buio e senza luce, Saverio credeva di trovare un riparo dalle ombre dei suoi pensieri, dalla magnifica iridescenza dei suoi sogni, dall’orrenda oscurità dei suoi incubi. L’oblio di se stesso era più un’illusione che una soluzione ma Saverio, spesso, fingeva di crederci e provava un indefinibile senso di sollievo nello sprecare tanto di quel tempo, della cui mancanza cronica si sarebbe ben presto lamentato, in quel limbo immaginario dove sembrava possibile, o tollerabile, lo strano equilibrio tra il cielo vuoto e il cielo pieno. L’equilibrio: l’eterno, assillante, irrisolto, enigma della vita. O almeno per Saverio era così.

«Ciao, amore mio. Posso chiamarti amore mio, vero?»
«Certo, è previsto… anzi, direi gradito.»
«Come va da quelle parti?»
«Normale, pure troppo normale… e lì?»
«Stanca, incasinata… ma non farmi dire nient’altro…»
«Tanto io mica sono curioso, forse…»
«Non dico niente per scaramanzia. Sto lavorando per noi.»
«Incrocio?»
«Incrocia, incrocia…»

Una volta tanto si parla di vita, quella semplice, quella da vivere. Due giorni tutti per noi. Un appuntamento aspettato, rimandato, desiderato. Meritato. Molto.
Sembra passato un secolo da quella sera in riva al mare. Quante cose fatte da allora.
Anche insieme. Soprattutto insieme. Nonostante la distanza. Eppure sembra ieri.
Si lo so, mi contraddico. Ma che vuoi? È ancora così vivo il ricordo del desiderio folle. Della paura di perderti…
Ricordi quel treno? Che incubo ho avuto quella notte. Pensavo di morire. E sarebbe stato davvero un destino balordo. Morire. Proprio quando mi sembrava di poter trovare una ragione per vivere. Si, vivere. E non sopravvivere. Che non è la stessa cosa. Proprio no.
Eppure se ci ripenso mi sembra di vederlo ancora. Il bianco. Quel bianco abbagliante, che appiattiva tutto. Anche i pensieri, i desideri. Anche i sogni. Soprattutto i sogni. Annullati dal bianco. Quel bianco che ti saltava addosso. E dipingeva asciugamani, poltrone, cuscini. Tutto bianco. Anche la trapunta, quella del letto. I vestiti. Bianchi. Come i binari. Quelli, a volte opprimenti, della vita. Tutta bianca. Come l’anima.
Bianche. Come le pareti della tua casa. La tua ex casa. Quelle pareti bianche. Ma piene d’impronte. Di fuliggine. Sporche. Grigie. Vere. Pareti bianche. Macchiate di vita. Bagnate da lacrime. Quelle lacrime che, adesso, nessuno piange più. Adesso, che il grigio dissolve in nero. Proprio nero. Come un cielo di notte. Pieno di stelle. Pieno di luna. Iridescente. Bellissima. Di mille colori. Che macchiano la vita. Colorandola. D’arcobaleno.

Il gheppio intanto, ignaro degli arcobaleni fantastici che Saverio stava costruendo con tutti i mattoni della sua fantasia, continuava a ricamare nel cielo la sua gioiosa danza rituale.
Saverio lo guardava distrattamente arrampicarsi svelto fin sulle nuvole e poi piombare giù a velocità folle, fin quasi a schiantarsi. Poi, all’improvviso, una planata, un volteggio, un arazzo disegnato in punta d’ali e di penne; e poi via, di nuovo in verticale verso l’infinito dipinto di blu.
Come incantato Saverio lo seguiva in quelle incredibile evoluzioni con gli occhi velati di sogni variopinti e vibranti. Lo seguiva e vedeva…



Ali
dipingono il cielo
con policrome macchie
d’arcobaleni infiniti

Ali
su spalle forti
incautamente avvezze
a voli fantastici

Ali
d’instancabile farfalla
leggiadra prigioniera
d’uno stomaco tormentato

Ali
d’arcobaleno
Ali
di nascosti tesori

Ali
vestite di sogno
a sfuggire leste
la penosa solitudine

Ali
d’arcobaleno
Ali
di nascosti tesori
Ali
lungamente negate
Ali
innegabili
Ali
per volare insieme
Ali
e noi



Saverio sorrise pensando alle pentole di monete che avrebbero dovuto trovarsi alla fine di quegli arcobaleni. A seguirli tutti ci sarebbe stato di che arricchirsi.
Un vero tesoro.
Migliaia di pentole, migliaia di arcobaleni che partivano dal suo cuore per giungere in ogni dove.
Un vero tesoro.
O forse le leggende erano sbagliate.
Forse i tesori non erano celati alla fine degli arcobaleni.
Forse il tesoro vero era all’inizio degli arcobaleni.
Un tesoro che Saverio sentiva crescere nel suo cuore.
Un vero tesoro…

24 gennaio 2007

Il carrozzone



“Il carrozzone va avanti da sé,

con le regine, i suoi fanti, i suoi re…

Ridi buffone, per scaramanzia,

così la morte va via…”

(Grazie Renato :))


Ed è proprio un carrozzone questa vita
cigolante eppure imperterrita
continua a stupirmi sempre
e sempre più a sconcertarmi
per la sua capacità
dannazione o dono, non saprei
di viversi da se
anche in mia assenza

leggevo un libro in questi giorni
giorni di silenzio forzato
giorni senza rete
giorni interminabili
un romanzo
un thriller
niente di che

però in qualche modo
parlava anche della rete
di un gioco in rete
che simulava la vita
con gran dovizia di particolari
e tanta attenzioni fin al più piccolo dettaglio…

ovviamente
c’erano giocatori che usavano quel mondo ombra
per vivere vite che non avrebbero mai potuto vivere altrimenti
divi del cinema
presidenti
ricchi

e poi c’erano i realisti
giocatori che
strano ma vero
facevano del loro meglio
fino a spingersi alla meticosità
per far si che la loro vita reale
e quella virtuale fossero identiche
e, cosa ben più importante,
fossero ugualmente importanti…

beh, un gioco come quello
perlomeno così “vero”
come il libro lo descrive
ancora non esiste
però la rete c’è
ed è essa stessa un mondo
un mondo in cui si può giocare
cercando informazioni o notizie
un mondo in cui si può fingere
di non essere se stessi
un mondo in cui
alcuni umani
fanno del loro meglio
per rendersi veri
forse
persino più veri
di quanto la vita
non gli consenta quotidianamente…

una vita virtuale
come specchio di quella reale
per vedersi
come ci vedono gli altri
o almeno per tentare…

forse in quel gioco
sarei stato un realista
magari moderato…
di certo
in questo mondo
in questa vita virtuale
che vive anche senza di me
sono un realista
e sono
forse
vero
come
mai
altrove…

mi siete mancati

e vi ringrazio per questo

un uomo sensibile ed intelligente
che risponde al nome di Antonio
e che molti di voi forse riconosceranno in queste frasi
un giorno mi disse:
se una cosa ti manca
è perché c’è


ineccepibile

grazie quindi
a voi
per essermi mancati
e
soprattutto
per esserci stati
ieri, oggi e
spero di cuore
domani…

"E il carrozzone prende la via,

facce truccate di malinconia...

Tempo per piangere, no, non ce n’è,

tutto continua anche senza di te..."

(Grazie Renato :))